IL REDENTORE E IL LAVORO A VENEZIA SECONDO USB
Venezia, una città unica per bellezza, ma pur sempre una città, coi suoi problemi economici e sociali, se possibile ancor più evidenziati che altrove da una serie di contraddizioni e difficoltà che se contraddistinguono ogni città che vive di arte e turismo, a Venezia sono esasperate.
Sappiamo come le tensioni e le crisi economiche vengano invariabilmente scaricate sugli anelli deboli e sugli ultimi e neppure qui a Venezia fa eccezione, ma dove c’è l’urgenza di difendere i diritti – sempre più violati – dei lavoratori, USB c’è sempre, anzi oggi più di sempre, costantemente e senza compromessi.
In breve tempo la Federazione Venezia USB lavoro privato ha visto triplicare i suoi iscritti nei molti cantieri che costituiscono eccellenze per Venezia. Ad esempio nei Civici Musei dove sta lottando a fianco del personale esternalizzato in una in strutture vertenza lunga ed estenuante, all’interno del rinomato Gran Teatro La Fenice, nell’ACTV, l’azienda di trasporti che è la spina dorsale per una città dove gli spostamenti sono difficili, ma anche in strutture dedite all’accoglienza e alla ristorazione, sempre in difesa dei diritti dei lavoratori,
Questo aumento esponenziale di iscritti in settori portanti per l’economia di una città che trae le sue ricchezze esclusivamente dal turismo e dal suo indotto, deve far riflettere sul legame tra guadagno facile e veloce e diritti dei lavoratori. E’ evidente come la ricchezza sia fatta sulla pelle dei lavoratori retribuiti pochissimo e affatto tutelati , pedine di un gioco di appalti e subappalti effettuati al ribasso , di lavori a chiamata, di contratti che durano anche meno di una settimana!
“La precarietà è la peste del nuovo millennio”, ha detto qualche tempo fa il patriarca di Venezia e noi non possiamo che allinearci a questo giudizio, che è vicino alle nostre posizioni suonando assolutamente laico e purtroppo realistico. E’ proprio in questi giorni infatti che Venezia si appresta a celebrare il Redentore, in ricordo della fine della pestilenza che nel 500 uccise in due anni un terzo della popolazione senza distinzione di ceto sociale. La peste di oggi – la precarietà appunto - è però ben più insidiosa, contagia via via vari strati sociali ed è decisamente più subdola perché colpisce i più deboli, gli ultimi che perdono la vita mentre sono sul posto di lavoro.